Nel cuore di Talamona, paese orobico della bassa Valtellina, sorge un edificio di epoca rinascimentale, originariamente posseduto dalla nobile famiglia Spini; dal 1837 è di proprietà della famiglia Valenti.
L’edificio, che guarda su una piccola corte, è impreziosito da una facciata dipinta, ben visibile a chi risale la via Valenti. Se il tempo ha causato il deterioramento della fascia affrescata del primo piano, si sono invece ben conservati i riquadri dipinti in corrispondenza del secondo piano. L’identificazione del soggetto è stata resa possibile da alcuni particolari significativi emersi durante un intervento di restauro del 1999: l’ippogrifo, il castello del Mago Atlante, paladini e cavalieri, hanno consentito di riconoscerne la fonte letteraria nell’Orlando furioso. Studi successivi hanno messo in luce che i sei riquadri rappresentano episodi presenti nei primi due canti del poema e che riprendono l’edizione illustrata di Giolito de’ Ferrari, del 1542. La sequenza delle scene è coerente con la lettura dei riquadri da destra verso sinistra, punto di vista di chi si avvicina al palazzo provenendo dalla strada.
Vero manifesto degli ideali classici, l’affresco talamonese è caratterizzato da una composizione vigorosa ed armonica. Le figure color rame paiono animarsi alla luce del tramonto, mettendo eternamente in scena le avventure di Sacripante, Ferraù, Bradamante, Pinabello, Rinaldo, Angelica. La raffinatezza degli elementi architettonici classici, l’equilibrio nella scelta dei colori, la sapiente stesura dei materiali e l’originale interpretazione delle fonti iconografiche ne fanno un’opera di grande valore. L’apparato decorativo si può datare tra il 1575 e i primi anni del ‘600; l’ autore, ancora sconosciuto, fu sicuramente in contatto con le maggiori correnti artistiche e culturali dell’epoca.
Dopo l’intervento eseguito alla fine degli anni ’90, un più recente restauro ha ulteriormente contribuito a valorizzare la qualità artistica complessiva della facciata.
Percorrendo la stretta via che dalla chiesa parrocchiale conduce al palazzo, un tempo appartenuto alla famiglia Spini, il primo riquadro che possiamo scorgere è quello collocato all’estrema destra della facciata. Al centro della scena possiamo ammirare una fanciulla a cavallo in fuga da un uomo in arme, ritratto in secondo piano. Il riquadro raffigura un episodio iniziale del primo canto e, in particolare, le ottave in cui Angelica, in fuga a cavallo dai pretendenti, scorge in lontananza Rinaldo ch’a piè venia verso di lei.
Dove, poi che rimase la donzella
ch’esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Percorrendo la stretta via che dalla chiesa parrocchiale conduce al palazzo, un tempo appartenuto alla famiglia Spini, il primo riquadro che possiamo scorgere è quello collocato all’estrema destra della facciata. Al centro della scena possiamo ammirare una fanciulla a cavallo in fuga da un uomo in arme, ritratto in secondo piano. Il riquadro raffigura un episodio iniziale del primo canto e, in particolare, le ottave in cui Angelica, in fuga a cavallo dai pretendenti, scorge in lontananza Rinaldo ch’a piè venia verso di lei.
Dove, poi che rimase la donzella
ch’esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Proseguendo con una lettura da destra verso sinistra, nel secondo riquadro si può con facilità distinguere una scena di combattimento tra due guerrieri.
Osservando l’immagine si può notare che soltanto il paladino a destra è ritratto con l’elmo e, grazie a questo dettaglio, si può identificare l’altro guerriero con il personaggio di Ferraù, che nel primo canto perde il copricapo nel fiume nel gesto di bere e lo ricerca nelle acque “pur si ritrova ancor su la riviera / là dove l’elmo gli cascò ne l’onde” (Orlando Furioso, I, 24, 1-2).
Seguendo l’ordine delle ottave ariostesche è possibile ricondurre anche questa scena al primo canto, nell’episodio in cui il Ferraù affronta l’avversario Rinaldo mentre, sullo sfondo, Angelica fugge a cavallo.E perché era cortese, e n’avea forse
non men dei dui cugini il petto caldo,
l’aiuto che potea, tutto le porse,
pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s’eran già non pur veduti,
m’al paragon de l’arme conosciuti.
Cominciar quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovar, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.
Or, mentre l’un con l’altro si travaglia,
bisogna al palafren che ’l passo studi;
che quanto può menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alla campagna.
(Orlando Furioso, I, 16-17)Questa interpretazione è peraltro supportata anche dalla scena che si ravvisa nell’area fortemente deteriorata al centro del riquadro, nella quale si riconoscono gli arti inferiori di due personaggi su un solo cavallo. Questa parte dell’episodio è infatti descritta in alcune nelle ottave che seguono di poco le precedenti, che vedono protagonisti ancora una volta Rinaldo e Ferraù, i quali decidono di sospendere il duello per ricercare insieme Angelica e a tal fine salgono entrambi in groppa al medesimo destriero:
Al pagan la proposta non dispiacque:
così fu differita la tenzone;
e tal tregua tra lor subito nacque,
sì l’odio e l’ira va in oblivione,
che ’l pagano al partir da le fresche acque
non lasciò a piedi il buon figliol d’Amone:
con preghi invita, et al fin toglie in groppa,
e per l’orme d’Angelica galoppa.
(Orlando Furioso, I, 21)
Nel terzo riquadro è ritratto un duello fra due cavalieri, in cui il guerriero raffigurato sulla destra disarciona l’avversario con una lunga lancia. La figura senza barba del vincitore indossa un’armatura che trattiene una lunga e leggera tunica dalle maniche con ampi e svolazzanti sbuffi e presenta lineamenti più delicati rispetto al nemico, caratterizzato da lunghi baffi.
Sullo sfondo, a destra del riquadro si scorgono alcuni edifici, e a sinistra, con qualche difficoltà, si
può intravedere una fanciulla dai capelli raccolti.
È sicura l’identificazione di questa scena con un altro episodio del primo canto, si possono infatti riconoscere le ottave in cui l’Ariosto celebra la vittoria della donna-guerriero Bradamante contro il saraceno Sacripante e descrive la principessa Angelica presente al duro caso:Ecco pel bosco un cavallier venire,
il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero:
candido come nieve è il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
che quel con l’importuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer ch’avea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.Come è più presso, lo sfida a battaglia;
che crede ben fargli votar l’arcione.
Quel che di lui non stimo già che vaglia
un grano meno, e ne fa paragone,
l’orgogliose minaccie a mezzo taglia,
sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
e corronsi a ferir testa per testa.(Orlando Furioso, I, 60-61)
Uno scontro tra due guerrieri appiedati, uno dei quali affiancato da un cavallo, contraddistingue invece il quarto riquadro, dove si intravedono sullo sfondo due personaggi a cavallo e una figura maschile accanto a un albero. In primo piano è rappresentato il duello fra Rinaldo e Sacripante con l’ostinata furia del destriero Baiardo che, calciando il saraceno, intende difendere il padrone. Nei personaggi a cavallo sullo sfondo si possono inoltre riconoscere i tratti della principessa Angelica e di un vecchio, caratterizzato da una lunga barba e da un copricapo tondo, simile a un turbante. Si tratta di un eremita che, attraverso le arti magiche, invoca l’intervento di uno spirito che possa distrarre i guerrieri durante la fuga di Angelica, come ci viene narrato nelle ottave iniziali del
secondo canto:Volta il cavallo, e ne la selva folta
lo caccia per un aspro e stretto calle:
e spesso il viso smorto a dietro volta;
che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatto via molta,
che scontrò un eremita in una valle,
ch’avea lunga la barba a mezzo il petto,
devoto e venerabile d’aspetto.Trassene un libro, e mostrò grande effetto;
che legger non finì la prima faccia,
ch’uscir fa un spirto in forma di valletto,
e gli commanda quanto vuol ch’el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
dove i dui cavallieri a faccia a faccia
eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
fra’ quali entrò con grande audacia in mezzo.(Orlando Furioso, II, 12, 15)
Un’atmosfera meno cruenta sembra caratterizzare il riquadro successivo, dominato dall’incedere mesto di una figura dall’aria assorta, che impugna le briglie di un cavallo al passo. Nonostante il forte degrado, nella parte sinistra dell’immagine si intravede un uomo seduto a terra accanto a un albero. A destra si scorge invece un’alta rupe, dalla quale spicca il volo un personaggio in sella a un animale alato, e in basso due uomini a cavallo che assistono alla scena.
L’episodio può essere riferito a diverse ottave del secondo canto, nel riquadro si può infatti riconoscere l’incontro tra Bradamante, contraddistinta anche in questo caso dall’armatura e da una veste femminile, e lo sconsolato Pinabello, molto addolorato a causa del rapimento dell’amata:Quivi, come i begli occhi prima torse,
d’un cavallier la giovane s’accorse;
d’un cavallier, ch’all’ombra d’un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l’elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
ed avea gli occhi molli e ’l viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.(Orlando Furioso, II, 34, 7-8; 35)
Sullo sfondo si ritrovano altri due episodi descritti nel secondo canto; nella parte superiore dell’immagine il mago Atlante a cavallo dell’ippogrifo e, nella parte inferiore, Ruggiero e Gradasso, cavalieri pronti a raggiungere la rocca per sconfiggerlo:
Poi che fur giunti a piè de l’alta rocca,
l’uno e l’altro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fè Ruggier più stima.
Quel serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.
Cominciò a poco a poco indi a lavarse,
come suol far la perigrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all’aria sparse,
velocissime mostra l’ale sue.
Sì ad alto il negromante batte l’ale,
ch’a tanta altezza a pena aquila sale.
(Orlando Furioso, II, 48-49)
Nel sesto riquadro conservato, che chiude il terzo registro della facciata, domina la scena un guerriero in piedi su una roccia, che ha fra le mani un lungo ramo al quale è aggrappata una figura.
Seguendo l’ordine narrativo del poema ariostesco la scena illustra le ultime ottave del secondo canto. Nell’uomo in piedi si può riconoscere Pinabello di Maganza che, spinto dal desiderio di vendetta a causa dell’antica ostilità tra la sua famiglia e quella di Bradamante, cerca di ingannare quest’ultima inducendola con un subdolo espediente a calarsi in una grotta per farla precipitare:Bradamante, che come era animosa,
così mal cauta, a Pinabel diè fede;
e d’aiutar la donna, disiosa,
si pensa come por colà giù il piede.
Ecco d’un olmo alla cima frondosa
volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;
e con la spada quel subito tronca,
e lo declina giù ne la spelonca.
Dove è tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello, e poscia a quel s’apprende:
prima giù i piedi ne la tana manda,
e su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
come ella salti; e le man apre e stende,
dicendole: – Qui fosser teco insieme
tutti li tuoi, ch’io ne spegnessi il seme!
(Orlando Furioso, II, 74-75)
Situato nelle vicinanze di Morbegno, città alpina 2019, Talamona è un piccolo paese che si caratterizza per le numerose contrade sparse sull’ampio conoide di deiezione del torrente Roncaiola. È proprio grazie alla presenza delle contrade che, dal 1989, il paese organizza nel periodo di Natale “I Presepi delle Contrade”, ubicati in diversi ed originali ambienti come stalle, lavatoi e torrenti, che rappresentano vere e proprie opere d’arte che fungono da grande richiamo per i visitatori. Tappa anche del Cammino mariano delle Alpi, l’itinerario trekking che attraversa la Valtellina toccando numerosi luoghi di culto mariano, Talamona presenta numerosi edifici religiosi di interesse, tra cui il Santuario delle Madonne di Grazie, la Chiesa di San Giorgio, la Chiesa di San Borromeo e altre.
Da Talamona si può raggiungere comodamente Morbegno, una delle principali località della Valtellina, patria del formaggio Bitto, a marchio DOP.
Per maggiori informazioni https://www.valtellina.it/it/morbegno-e-dintorni